Biografia di Paolo Radi

Paolo-Radi

Paolo Radi nasce a Roma (1966) dove, nel 1988, si diploma presso l’Accademia di Belle Arti. Fin dai primi anni di studio, orienta la propria ricerca verso il lirismo aniconico e lo studio delle qualità formali dell’immagine, rintracciando e analizzando, all’interno della storia dell’arte, l’opera di personalità affini al proprio percorso tra cui Kazimir Malevič e Ben Nicholson. Nelle opere dei primi anni Novanta – alcune delle quali costituiscono l’esordio espositivo del 1992 (Giovani Artisti - IV Edizione, Roma, Palazzo delle Esposizioni) – l’artista sostituisce al medium grasso e corposo dell’olio la trasparenza degli acquerelli ed oppone ai telai e agli orditi della iuta una materia duttile e al contempo fragile come la carta. Ma il foglio si svincola dalla funzione di semplice supporto per strutturare spazialmente la superficie ed il colore viene privato delle inflessioni soggettive per acquisire profondità spaziale. In questa ridefinizione del vocabolario compositivo la morfologia dell’immagine si spoglia da simbolismi letterari, dando vita a forme ancestrali, eidetiche che rievocano la dimensione percettiva della memoria. Nella seconda metà degli anni Novanta, le opere si aprono a nuove cadenze estetiche: il percorso artistico di Paolo Radi, tessuto tra sensibilità lirica e euritmie formali, si orienta ora verso una strutturazione più razionale dell’immagine. Nei lavori esposti alla personale Forme Perenni (1996), presso la Galleria A.A.M. di Roma, la carta viene lavorata con foglia d’argento e rame, mentre il colore si distende seguendo un’articolazione più asciutta e si espande nello spazio della superficie. L’evoluzione del linguaggio espressivo si manifesta anche nella lavorazione del supporto su cui iniziano ad apparire leggere estroflessioni che aprono il piano al volume delle forme, all’essenza incorporea dello spazio. Queste modulazioni lievi, negli anni successivi, si tramutano in veri e propri aggetti dai quali scaturisce una spazialità ancor più perentoria, scultorea, mai intrappolata in pattern gestaltici, ma al contrario percorsa internamente da un sottile lirismo impersonale. Il diverso confronto con lo spazio conferisce una nuova qualità plastica alla materia: le opere così realizzate oltrepassano “i limiti imposti dalla virtualità dello spazio pittorico per oggettivare e rendere tangibile la presenza della forma nello spazio reale” (1996, Fabio Briguglio, Francesco Moschini). Le forme angolari inglobano le forme organiche: quest’uso non ortodosso della geometria serve all’artista per svelare nuovi problemi spaziali e per opporre ad un’esattezza di carattere matematico, una contaminazione poetica. Negli ultimi anni Novanta, Radi sperimenta la dimensione dello spazio scenico. Nel 1998 partecipa a Du vu du non vu (1998, Tuscania Teatro) performance di danza di Lucia Latour dove le opere si oppongono alle delimitazioni consuete per legarsi alla fisicità del teatro, al movimento, al tempo reale dell’azione che accade hic et nunc sulla scena. L’esperienza di creare opere in luoghi convenzionalmente non deputati all’arte, prosegue negli anni successivi: nel 2001 l’artista realizza l’installazione Concatenazione per la VII edizione di Passaggi a nord ovest (2001, Quartiere Vernato, Biella) costituita da forme di legno curvate, di dimensioni tra loro diverse e che si dislocano nello spazio urbano. L’installazione nasce e si svela nel luogo di ubicazione, dando vita alla “rivitalizzazione dello spazio in una nuova relazione prospettica” (Alberto Fiz, 2001). L’apertura verso l’ambiente e la ridefinizione delle relazioni tra opera e luogo riecheggiano nei lavori degli ultimi anni Novanta ed in quelli dei primi anni del nuovo millennio, ad esempio nelle opere esposte ad Intenso-Essenziale (2001, Termoli) e ad Anteprima. Napoli. XIV Quadriennale (Napoli, 2003): non si tratta più di oggetti situati nello spazio, ma di oggetti nati e costruiti assieme allo spazio che li circonda, in cui il vuoto viene trasformato in volume, ed in cui “l’astrazione” si è “liberata di tutti i codici di avanguardia: non sussiste più costruzione o decostruzione di una forma ma una materia che si sposta” (Nadja Perilli, 1999). Con l’aprirsi del nuovo millennio, Radi è invitato a realizzare le proprie opere presso la Fondazione “Sculpture Space” di Utica, New York (2002); al contempo moltiplica l’attività espositiva e consegue numerosi premi (tra cui il Premio San Luca, 2002). Proprio in questi anni il percorso artistico si apre a nuove soluzioni formali: l’artista introduce, la sperimentazione di nuovi materiali che affiancano, all’uso di tecniche dalla tradizione antica – tra cui il caolino e la foglia d’oro – la lavorazione di prodotti plastici come il perspex, il p.v.c. e la gomma siliconica. Questi materiali non sono scelti dall’artista per le loro qualità industriali, ma per la possibilità di modulare la luce sulle variazioni di opacità e trasparenza, corposità e leggerezza, rivelando, nell’inversione tra peso e gravità, nuove profondità spaziali. Le opere realizzate in questo decennio, tra cui Necessario Indistinto, esposto nel 2004 a Partenogenesi- poetiche del progetto con Agostino Bonalumi e Getulio Alviani (Galleria Civica d’Arte Contemporanea, San Martino Valle Caudina, Avellino, 2004), si privano di un unico punto focale per liberarsi dalla fissità della loro posizione: adagiate su un piano verticale sembrano proseguire oltre, attraverso di esso, inghiottendo e modellando lo spazio che le circonda. Nel 2006 partecipa, su invito, alla X Mostra Internazionale di Architettura-Biennale di Venezia (Nuovo Padiglione Italiano per VEMA - “La città del futuro”) dove espone Alam, una scultura ispirata al tema dell’ibernazione. L’opera è ideata per l’Ospedale del futuro progettato da Antonella Mari, architetto con cui collaborerà più volte, ad esempio per il progetto dedicato alla Diocesi di Racalmuto in Sicilia (2009). Nel 2007, in occasione della mostra Indefinito continuo, tenutasi presso Galleria Spazia di Bologna (la medesima galleria gli dedicherà uno stand personale alla fiera d’arte contemporanea di Milano, MIART), espone un ciclo di opere di grande formato. Valerio Dehò, curatore della mostra, individua nell’“anarchia linguistica” che insidia l’attuale contesto artistico, la presenza di una “forma di reazione al disordine […] Qualcosa che corre in parallelo con il riaffacciarsi dell’astrazione, sia in forma geometrica che informale, ma anche una ripresa del senso del tempo e delle proporzioni”. E vede in Paolo Radi un esempio “di questo silenzioso ritorno all’ordine”, trovando nelle sue opere “una prova di forza e di sicurezza” in cui la tradizione storico artistica, in particolare italiana nell’eco metafisica, viene trasformata in una nuova ridefinizione estetica dell’immagine. Sempre nello stesso anno realizza il site specific Limite Ignoto per la mostra Allarmi3 (Como,Caserma De Cristoforis) e partecipa, su invito, alla mostra Generazione Astratta IV allestita a Catania presso la Galleria d’Arte Moderna. Con l’aprirsi del nuovo decennio le esposizioni personali e collettive si intensificano: in particolare, nel 2008, partecipa al ciclo di mostre Experimenta e Springs in White (New Delhi, Kolkata e Bangkok), realizzate su iniziativa del Ministero degli Affari Esteri, il cui obiettivo è di promuovere e diffondere, in campo internazionale, le opere delle ultime generazioni. Il medesimo anno è scandito da due importanti mostre personali (presso la Galleria Marchetti di Roma e la Galleria Antonella Cattani Contemporary Art di Bolzano) e dalla partecipazione, su invito, al LIX Premio Michetti - I labirinti della bellezza. Nel 2009, in occasione della mostra Cromofobie. Percorsi del bianco e del nero nell’arte contemporanea italiana (Pescara, Ex Aurum, a cura di Silvia Pegoraro) realizza Ossessione, la sua prima opera nera. Dallo studio del nero, limite estremo che ingloba e si oppone alla trasparenza creando nuove entità e profondità luministiche, trae origine la serie Ossidiana, presentata nel 2010 presso la Galleria Marchetti di Roma. Al bianco dedica, invece, il ciclo di opere esposte nella doppia personale, Magnitudine apparente. Agostino Bonalumi. Paolo Radi (2010, Milano, Galleria Fabbri) in cui prendono forma, attorno alla suggestione astronomica, nuove “movenze, profili, ombre, rilievi fantasma e dune geometriche che trasformano il visitatore nel testimone immediato di una ricerca, di uno studio sull’intensità” (Atto Belloli Ardessi, Ginevra Bria, 2010). Sempre nel 2011 viene allestita, presso le sale della Galleria Comunale d'arte Contemporanea al Montirone (Abano Terme), un’ampia mostra monografica, a cura di Antonietta Fioretto e Chiara Vernier. in cui viene ripercorsa, attraverso la messa a fuoco degli esiti raggiunti tra il 2003 e il 2011, la fase più recente della ricerca di Radi. Osservando l’evoluzione del linguaggio tecnico ed estetico delle opere emerge un’identità artistica che “senza mai tradire l’orientamento del proprio sentire […] si afferma attraverso una poetica in cui le sostanze restituiscono presenze ed effetti che superano la loro stessa natura”. Con Radi prendono, infatti, vita “equilibri e trasparenze, sospensioni e dilatazioni” che accolgono “sfumature lucenti e opalescenti”: le sculture oltrepassano i propri confini, rompendo “con la leggerezza che le contraddistingue, ogni equilibrio atteso” (Matteo Galbiati, 2011). L’anno successivo è invitato, assieme ad Emanuela Fiorelli, dall’Istituto Italiano di Cultura di Lima, ad esporre presso la Galleria d’Arte Visiva Centro-Culturale Ccori Wasi Universidad Ricardo Palma. La mostra, Emanuela Fiorelli e Paolo Radi, nel segno e nella luce, presenta un cospicuo numero di opere del recente percorso dei due artisti. Nel 2013 espone in una nuova doppia personale con Emanuela Fiorelli (Il paradosso della superficie E. Fiorelli / P. Radi, Milano, Galleria Fabbrica) a cura di Marco Meneguzzo, ed in primavera realizza l’installazione Di luce propria all’interno della Basilica romana di Santa Maria in Montesanto. Nella personale del 2013, curata da Lorenzo Respi presso la Galleria Anna Marra Contemporanea di Roma, situata nell’ex ghetto ebraico, presenta un nuovo ciclo di opere su carta e perspex incentrate sul tema della deportazione ebraica. Nei lavori esposti “accade qualcosa di nuovo, di inaspettato”, ovvero “tra le pellicole in silicone e i fogli di carta compaiono immagini, fotografie e scritte, ben visibili e identificabili”. Come osserva Respi, attraverso questa nuova unione di immagini prese dalla realtà e la lavorazione aniconica della materia, Radi “intesse diligentemente, per sovrapposizioni e velature, la sua personale narrazione di un capitolo luttuoso della storia del Novecento”. In queste e in altre opere recenti l’artista compie così “un passo avanti sostanziale nel suo percorso artistico: esce dalla sua pelle, va oltre la superficialità della materia, sfonda quella membrana esterna che ha sempre imprigionato e seminascosto alla nostra vista le sue forme impedendone la piena percezione” (Lorenzo Respi, 2013). Nuovi percorsi poetici raggiunti attraverso una perfezione estetica che non cede mai al “puro formalismo”, né al “decorativismo edonistico”: al contrario, “la cura per il dettaglio si evolve continuamente”. L’elemento che pervade e dà forza alla sua opera “è indubbiamente la coerenza, espressiva e stilistica, che lo mette al riparo dalle mode e lo fa sedere da spettatore privilegiato nel teatro del mondo” (Lorenzo Respi, 2013).

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