Testo di: Paola Bernardi - L'iconosfera lirica della pittura

Paola Bernardi: L'iconosfera Lirica della pittura.
Testo Critico a cura di Toni Toniato.

La mostra ricostruisce e segnala per la loro importanza storica alcune delle principali tappe del percorso artistico finora compiuto da Paola Bernardi, la cui vocazione alla pittura si è precocemente affermata durante i primi anni Sessanta a Padova - sua città natale - spingendola a partecipare al clima appena incipiente della nuova avanguardia rappresentata, allora, dal Gruppo Enne, trovandosi quindi la giovane artista ad operare relativamente in un contesto di sperimentazioni indirizzate sulla medesima linea di elaborazione analitica dei processi di per sé formativi della visualità. Ma fin da allora quella posizione - dopo un'iniziale fase nell’ambito figurativo - si è rivelata a sua volta diversa in quanto l'evoluzione linguistica da lei intrapresa appariva in ogni caso meno condizionata dai rigidi procedimenti dell'arte poi cosiddetta programmata, o meglio la Bernardi se n'era a quel tempo servita per provare invece di articolare una singolare formulazione d'immagine che fosse insieme rigorosamente strutturata e liricamente espansiva - emotivamente ancora coinvolgente - proprio per non rinunciare anche nel campo della nuova astrazione a un bisogno comunque di totalizzante espressività. L'esigenza pertanto di sottrarsi alle maniere pure aggiornate di quei formalismi, spesso infatti scaduti in mere dimostrazioni didattiche, anzi di superare lo stesso preteso scientismo che stava alla base di quelle risoluzioni ottico-percettive, ha costituito fin dagli esordi uno dei fattori infatti salienti della ricerca della Bernardi che, trasferitasi qualche anno dopo a Venezia per completare gli studi alla locale Accademia, ha trovato in questo nuovo ambiente ulteriori stimoli per liberarsi dai vincoli di un rigorismo geometrico le cui grammatiche visive si riducevano per lo più ad esibire una determinata quantità di moduli formali e di conseguenti varianti compositive con l'effetto di produrre una cinetica - virtuale o meno - peraltro non esente da un gusto soprattutto ludico se non addirittura meramente decorativo. Significativo di un orientamento concettuale e stilistico per l'appunto diverso resta a tale riguardo il ciclo che la Bernardi realizzerà, sempre negli anni Sessanta, sul motivo delle frecce, dipinte o a rilievo, bidimensionali o tridimensionali, assumendo tale elemento formale, depurato da ogni allusione simbolica pure ricorrente nelle iconografie pop, quale concreto vettore invece di libere energie plastiche, portato con univoca chiarezza strutturale ad animare il piano della superficie, in una serrata dialettica tra colore e spazio, tra l'uno del generatore luminoso e il molteplice delle sue evenienze fenomeniche. Al centro dei suoi interessi linguistici si veniva dunque a qualificare una dinamica tra luce e forma, un'idea di progettualità magari di matrice costruttivista e tuttavia rivelativa non soltanto dei dispositivi interni dell'esperienza sensoriale, ma anche di quei risvolti immaginativi capaci di poter trascenderne l'orizzonte non meno illusorio di una presunta oggettività fenomenica, puntando perciò la direzione della propria ricerca pittorica a cogliere il senso di uno stato non tanto di ambiguità quanto di intederminatezza percettiva che le ha consentito inoltre di dare pieno corso alle energie immaginative di una sconfinante decantazione linea, la stessa che in effetti da sempre appartiene ad ogni prospettiva davvero utopica del fare arte. Su queste premesse estetiche si è mossa intanto la vasta vicenda delle tante stagioni creative improntate principalmente attorno alla problematica della luce, di una luce insieme sensibile e mentale, da tradurre con i mezzi specifici della pittura, senza ricorrere, come è avvenuto per i suoi compagni di strada, a tecnologie di natura elettromeccanica, a strumentazioni, considerate allora più sofisticate. La pittura è rimasta dunque il campo d'azione delle sue ricerche, il tramite con cui arrivare a figurare una energetica della spazialità luminosa, per descrivere le sue multiformi ricreazioni sul principio per lei che la luce è l'opera. Eppure la Bernardi era riuscita a cimentarsi pressoché nei medesimi anni con altre tematiche formali, in particolare con quelle modalità espressive di una tradizione storica che ha caratterizzato, segregandola in funzioni meramente decorative, l'immaginazione femminile, riprendendo o meglio rinnovandone accenti e compiti, trasformando quelle medesime proposizioni ornamentali in un linguaggio invece autonomo e di per sé libero da condizionanti discriminazioni sociali e culturali. Ha avuto l'audacia così di riproporre in due diversi cicli di lavori le varie tecniche del ricamo - una pratica da lei assimilata sin da ragazzina impiegandosi per la propria quasi innata abilità in un noto laboratorio tessile specializzato in questo particolare settore - utilizzando però il ricamo, da lei ora eseguito, quale ricalco soprattutto oggettuale, poi trasposto sulla tela, oppure composto direttamente e raffigurante simbologie di evocative risonanze allegoriche - la conchiglia metafora dell'eternità del tempo, l'angelo mediatore di rasserenate trascendenze, la luna silenziosa sorgente di riflesse malinconie, l'arcobaleno, propiziato annuncio dell'armonia fra cielo e terra - immagini, queste, tra le più, a suo tempo, da lei riprodotte, cercando addirittura di interpretare con accenti sintetici ma fortemente allusivi alcune raffigurazioni di grandi pittori del passato, da Piero della Francesca a Raffaello. Un'esperienza che un lato puntava a segnare il riscatto della propria condizione femminile, a rivalutare in maniera strumentalmente specifica la creatività artistica della donna e, dall'altro, a trasformare la citazione, il prelievo oggettivato - dalla storia dell'arte o dalla realtà del quotidiano - in un diverso emblematico significato. Un procedimento di ricalco da considerare a sua volta funzionalmente inventivo e assai perciò originale, differentemente dunque da quanto avveniva, pressoché nei medesimi anni, da parte dei più convinti sostenitori della riproducibilità tecnica, del trasporto meccanico su tela emulsionata adottato dagli stessi esponenti della figurazione oggettuale, ma anche dalle algide procedure di registrazione tipiche dei linguaggi comuni, appunto "bassi" della Pop e della relativa celebrazione di stereotipi iconografici di massa. Pur vivendo quel clima di veloce cambiamento, anzi di svolte dimostratesi spesso radicali, la Bernardi seguiva, in parallelo, un orientamento che l'avrebbe portata sui versanti storici delle poetiche costruttiviste, provando soluzioni plastiche di ordine geometrico tridimensionale, realizzando delle strutturo ondulate, sulla falsariga dell'anello di Moebius, rigorose volumetrie progettate ed articolate a scandire forme e spazi di calcolata e speculare astrazione, arrivando a proporre originali interventi di arte ambientale. Il periodo, tra il '67 e il 75, rappresenterà, per lei un'intensa fase di assaggi e di indagini sulle possibilità di perimentazione aperte dalla ricerca estetica e scientifica, anche se l’artista resterà principalmente fedele alla strumentazione pittorica persino nelle sue singolari risoluzioni nel campo delle Poesia Visiva. Così come nella precoce formulazione di un'idea della pittura-pittura, basata sulla riflessione attorno ai valori costitutivi di questa fenomenologia espressiva, anticipandone gli svolgimenti con una relativa tendenza al primario manifestata attraverso la messa in atto su superfici intrise di una lieve imprimitura monocroma e rigate da un esile tracciato segnico, spesso a matita, appena la respirante impronta di una linea a comporre aeree volute, sottili intrecci, larghi reticoli spaziali, seguendo non soltanto il rapido percorso della sensibilità ma quello misterioso dell'immaginazione che le ha permesso di configurare perciò l'essenziale ritmica di un canto visivo in apparenza silenzioso e tuttavia pregno di intime risonanze luminose. L'artista veniva qui a sfiorare soglie estreme della visibilità confermando l'attitudine per una materia urica affidata all'energia di un segno meditabondo, comunque pulsante di segrete vivezze emozionali, portato cioè a captare e trasmettere lo stupore di una condizione dell'immagine pittorica sospesa sull’orizzonte del vissuto, in bilico sul confine invalicabile tra la realtà e la sua rappresentazione, tra l'occhio e la mente, in direzione di questo tentativo di superamento di ogni riscontro oggettuale la Bernardi si pronunciava dunque per una pittura che tornava ad essere esperienza della propria interna processualità in sintonia con le correnti della nuova astrazione che andavano a caratterizzare la scena artistica internazionale, dopo la lunga vivace stagione dell'Informale, ma anche dopo gli spericolati mimetismi iconografici della Pop e le alternative rigidità sintattiche e strutturali dell'Op. In effetti la Bernardi continuava a dialogare sia pure a suo modo con le più importanti correnti del momento, attenta soprattutto alle proposte dello spazialismo luminologico di Virgilio Guidi e dello sperimentalismo, concettualmente persino avveniristico, di Lucio Fontana, artisti da lei del resto frequentati con particolare ammirazione. Sull'opera di Fontana intanto aveva non a caso rivolto l'argomento della tesi di diploma, mentre con Guidi intratteneva da tempo rapporti assai fecondi, partecipando attivamente al vivace cenacolo che si era formato attorno all'anziano maestro e che riscuoteva l'adesione degli esponenti più significativi della cultura veneziana, da Pizzinato a Vedova, da Deluigi a Tancredi, da Bacci a Pinzi e a Rampin, ossia i maggiori rappresentanti delle neoavanguardie di allora. Eppure appartenendo a una generazione successiva e che solo in quegli anni cominciava ad affacciarsi sulla scena italiana, la Bernardi si faceva promotrice di un movimento artistico che puntava a virare oltre le sponde lessicali e semantiche che avevano connotato finora i linguaggi del percettivismo "optical" e del contenutismo "popular". La sua ricerca di un'astrazione post-geometrica, magari meno suffragata da fredde razionalità, la doveva condurre a ripensare la stessa funzione ideativa del progetto formale o, meglio, a restituirvi un quoziente di sensibilità immaginativa, di energia emozionale capace di sprigionare necessarie virtualità poetiche in modo di non esaurire le prerogative espressive dell'azione pittorica. Pertanto forme essenzialmente emozionali risultano dunque le sue invenzioni segniche, le strutturazioni spaziali di una materia gravida di segreti impulsi, di splendenti gestazioni cromatiche, di movimenti gestuali inesorabilmente semplificati, quasi delle minime lievitazioni del pneuma luminoso che ne guidava il tratto elementare ed insieme davvero vitale. Sono aspetti che si possono chiaramente rintracciare inoltre in quei cicli pittorici dedicati al motivo quanto mai inconfondibile nel suo repertorio tematico dell’arcobaleno, del fenomeno naturale e dello spettro cromatico, scomposto e rifratto in frammenti minimali, secondo un procedimento metonimico, ma trasformando poi ogni particolare nella plenitudine di una "icona", generando infatti rimandi a significati ulteriori ed altrettanto comunque ineludibili. Persino l'avventurosa vicenda dell’insolita produzione sperimentata negli anni Ottanta, culminante con l'esposizione da lei poi tenuta a Palazzo dei Diamanti, a Ferrara, riferibile al complesso di dipintiriuniti sotto il titolo della "Scala di Giacobbe" - composto di una trentina di dipinti di uguale piccolo formato allestiti sulla parete al modo di rappresentare una scala - da tutti ritenuto uno scarto stilistico radicale ma imprevedibile, anzi spiazzante rispetto alle sue opere precedenti, dimostra viceversa di rientrare coerentemente su quel decisivo binario di un'astrazione emozionale. Soltanto che in tale occasione l’artista aveva fatto ricorso a una "imagerie" mutuata dai miti iconografici e letterari di cosmogonie arcaiche, dai testi biblici, dai poemi e dalle saghe nordiche, quasi una antropologia religiosa e figurativa riassunta in una sene di brevi racconti visivi. Da rimarcare intanto l'estro inventivo e la seducente bellezza delle immagini - dei rilievi grafici e delle stesure coloristiche - veicolanti atmosfere di fiaba, trame intese a narrare in effetti l'odissea umana dal cielo alla terra e dalla terra al cielo. Una vasta nomenclatura di etimi visivi, di simboli e metafore, combinati a fomentare e scandire il flusso inestricabile dell'immaginazione, la fervida creatività esplicitata in queste opere dal fascino misterioso sul ricorso della memoria del reale e sull'esplorazione meditata delle cose, prospettive convergenti insieme a configurare dettagli significativi e visioni sconfinate. La Bernardi verrà perciò ad alternare lungo il decennio, fra l'85 e il '95, in un serrato contrappunto di polarità ideative, analoghi repertori tematici e formali, sia le partiture più astratte, come quelle sul motivo strutturale-geometrico dette “Onde", sia quelle in un certo senso di contenuto figurativo, parimenti governate da una concezione di epifanismo luminoso, di una pittura di pervadente spazialità luminosa suscitata da una materia di rispecchiate trasparenze nell'effusiva dimensione di un visionario creativismo. In seguito essa anzi riprenderà talune di quelle ispirazioni narrative dipingendo suggestive scenette, fra l'araldico e il favoloso, ma ormai la sua ricerca sarà orientata ed improntata soprattutto a declinare forme ed immagini di un dinamismo luminoso delle energie spaziali di evidente allusione cosmica, come nei diversi cicli, realizzati a partire dal 1987 sino ad oggi, suddivisi progressivamente, per evoluzione speculativa e stilistica, nei temi delle “Maree", delle "Costellaziom", della Super-Stringhe". Rimarrà inalterata invece la modalità fondamentale che sta alla base di ogni suo procedimento espressivo, di un pensiero artistico che si dispiega nel circolo interminabile tra proposizione ed ascolto che pure vi concorre a determinare, per cui la pittura nei suoi eventi formali appare insorgere per riflettere innanzi tutto se stessa, per manifestare il senso originano del suo essere e del suo farsi nel corpo dell’immagine, nella mutevole visibilità della forma. Di una forma-colore, perfondanti movimenti della luce, anzi di un sentimento della luce che si apre con ciò a ricreare spazi insondabili, parabole vertiginose o concertate traiettorie, echi risonanti dell'armonia delle alte sfere, in uno sorta di genesi simbolica e morfologica del mondo celeste. Ciononostante il suo linguaggio risulta ben diverso dalle elaborazioni immaginative dello spazialismo veneziano che pure si era mosso su simili versanti raffigurando in mamera ancora magmatica tali fenomenologie cosmologiche - movente da spiegare del resto per il confrontarsi di questa tendenza con la stagione calda dell'informale - viceversa la Bernardi vaglia l’eloquio cromatico, controlla l’irruenza del segno, modula le forme della materia luminosa attraverso sapienti dosature, in un instabile equilibrio tra tonalità calde e fredde, seguendo i percorsi di un dinamismo strutturale di pure energie, mirando a scoprire semmai la geometria segreta che regola quelle visioni cosmiche, in quanto l’opera dell’artista non ne simula i meccanismi, bensì è la pittura stessa a farsi, qui, “mondo", a dire l’incanto delle proprie Liriche proiezioni sull'infinito. Nei dipinti recenti vi si avverte una concentrazione dello sguardo a sondare profondità interiori, a fissare la propria specola su universi fisici e mentali, a cogliere, nei moti delle rotazioni astrali e nel giro di paralleli magnetismi visivi, turbamenti e presagi che provengono da lontananze inaccessibili, da luoghi di un altrove concettuale e spaziale, da una soglia che anche la pittura può solo additare nel suo percorso, invitandoci all’incontro con quel mistero della luce, sul limite tra immanenza e trascendenza, Ira figurabile e non figurabile.

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